Malolattica totale, una scelta di campo

17 Ottobre 2021

C’è una certa perplessità sulla scelta di svolgere la fermentazione malolattica totale sui i vini base Franciacorta, ossia gli Chardonnay, i Pinot Bianco e i Pinot Nero che compongono le cuvée del rinomato metodo classico bresciano.

“La diffidenza è comprensibile, è un processo che storicamente è stato gestito quasi esclusivamente per specifiche vinificazioni (quelle in rosso, in particolare) e mai pensato per le basi spumante”, dice Alessandro Schiavi, enologo e contitolare di Mirabella. “Mancavano strumenti e conoscenze per trarre vantaggio da questa fermentazione, che peraltro in natura avviene spontaneamente dopo quella alcolica, se non si provvede tempestivamente ad abbassare la temperatura dei tini”.

“Aumentando il calore nelle vasche di fermentazione, nel nostro caso tini in cemento, l’acido malico si trasforma in lattico e il vino risulta più rotondo, espressivo. Dal punto di vista gustativo, il malico ricorda il frutto fresco, quasi acerbo; al contrario, l’acido lattico dona complessità aromatica, matericità, ‘larghezza di bocca’ tipiche del frutto maturo. I Franciacorta sono più pronti e stabili, ma altrettanto longevi; l’impronta acida, che necessita di un dosaggio dolce per riequilibrarsi, lascerà il posto a un insieme morbido e bilanciato”.

Prosegue l’enologo: “La malolattica totale è una costante dei Franciacorta Mirabella. Servono alcune accortezze, come uve con acidità importanti – motivo per cui anticipiamo leggermente la vendemmia – e cicli di pressatura molto delicati. Il risultato? Vini dallo stile riconoscibile e più salubri, in quanto la maggiore stabilità permette di abbassare i solfiti. Alla fine, lasciando il vino libero di esprimersi con la malolattica, stiamo soltanto assecondando il suo percorso evolutivo naturale”.

Vasche in cemento datate 1942