La bottiglia è sul tavolo, alla giusta temperatura. Stappate con disinvoltura, ma momento della degustazione qualcosa va storto: il vino nel bicchiere emana un sentore sgradevole, che ricorda il cavolfiore cotto, l’aglio o persino il selvatico.
Siete incappati nel difetto di luce (DDL), problematica che colpisce soprattutto i vini bianchi e rosati sia fermi che spumanti. Un fenomeno sempre più diffuso, complice la scelta di molti produttori di utilizzare vetri trasparenti per i loro vini.
Alla Facoltà di Agraria dell’Università di Milano si studia da 3 anni questo problema con un progetto dedicato, Enofotoshied, e a fine maggio i risultati della ricerca sono stati presentati in un convegno.
Tra i relatori c’era Alessandro Schiavi, enologo di Mirabella, tra le aziende partecipanti al progetto. “La deviazione aromatica dovuta all’esposizione alla luce fa produrre al vino molecole solforate, responsabili dei sentori di cotto, bollito e animale”, dice Schiavi.
“In Mirabella utilizziamo vetri scuri, forse meno glamour ma certamente più sicuri, soprattutto quando le bottiglie arrivano dal cliente e rimangono per molto tempo sugli scaffali, esposte a fonti di luce sempre più aggressive. Ma nessun produttore può dirsi totalmente esente dal rischio del difetto di luce: anche la breve esposizione all’illuminazione in cantina interferisce, seppur minimamente, con i vini e può leggermente modificarli”.
“Da tre anni sperimentiamo su piccoli lotti l’aggiunta di prodotti naturali tesi a impedire il difetto. I più efficaci sono i tannini di origine vegetale e totalmente privi di allergeni. I risultati sono interessanti, ma continueremo la nostra attività di ricerca, confrontandoci coi colleghi, franciacortini e non solo, per ovviare insieme a un problema ormai ben più diffuso del noto sentore di tappo”, conclude l’enologo.
